Triennale
2021
Dal 10 giugno sono esposti in Triennale di Milano gli ultimi lavori di Daniele Cima che gioca con uno dei feticci della burocrazia, il codice fiscale. Una serie di quadri che ripropongono codici fiscali di persone vere o di personaggi storici o di personaggi immaginati che vengono composti con caratteri tipografici inventati e spesso aderenti, per colore e forma, alle personalità dei soggetti ritratti. Un lavoro che unisce la forza del colore a quella del pensiero critico nei confronti di una società che tende a uniformarci attraverso l’uso di sequenze alfanumeriche; e nello stesso tempo, questo di Cima, è un lavoro concettuale che riflette sulla questione del ritratto, uno dei generi più risalenti nella storia della pittura, con il paradosso che proprio nel tempo dei selfie e dell’iper visibilità sui social del proprio sembiante, l’artista milanese sceglie di raffigurare con numeri e lettere Barack e Michelle Obama, Gesù di Nazareth, Che Guevara, Lucio Fontana, Frida Kahlo, Basquiat, Mondrian, perfino Dracula, ma anche la Regina Elisabetta, Papa Bergoglio, la Monna Lisa… “La creatività di Cima – scrive Gianni Maimeri della Fondazione Maimeri - allenata in una lunga carriera di graphic designer, esplode poi quando si tratta di ridare sostanza artistica ai codici fiscali di persone che – per fortuna loro - non lo ebbero perché nati in epoche distanti, oppure perché personaggi frutto della fantasia: Gesù e Nerone, Superman e Luke Skywalker. Adeguando in questo caso, sottilmente e comprensibile a una seconda lettura dell’opera, il carattere tipografico e il suo colore alla personalità della persona ritratta”. “La serie dei “Ritratti Fiscali” – scrive il curatore della mostra Angelo Crespi - insiste proprio sul paradosso cognitivo di voler rappresentare una persona - nell’era dei selfie e dell’esasperazione egoica visiva sui social - attraverso il suo mero codice fiscale o ugualmente di rappresentare personaggi storici attraverso codici fiscali improbabili inventati giusto per l’occasione; un paradosso, dicevamo, tipico del calembour che invaghisce la mente perché l’omofonia dei termini, tipica di questa figura retorica, ci costringe alla ripetizione e alla rilettura per cercare di svelarne il segreto. Segreto che non c’è. Non ci interessa sapere per davvero qual è il codice fiscale, elaborato da Cima con scrupolosa approssimazione e una vena surrealista, di Gesù Cristo, di Nerone, di Superman, Monna Lisa, Luke Skywalker, Dracula, Ipazia o della Venere del Botticelli... neppure riflettere troppo sulle modalità con cui – ci suggerisce l’artista – gli apparatčik statali sempre più esercitano per mezzo della burocrazia il loro controllo pervasivo sulla nostra vita riducendoci a una mera sequenza alfanumerica di 16 caratteri. Il segreto che non c’è è celato nella flatness delle lettere, nel loro colore steso con precisione, nella loro decorosa composizione, una diversa dall’altra, eppure tutte riconducibili a un prototipo, quasi contenessero non solo il suono a cui rimandano, il fiato di dio, bensì ancora più magicamente - facendo torto a Fussler da cui abbiamo principiato – qualcosa di ulteriore: come la lettera Aleph, la prima dell’alfabeto ebraico, nella rilettura di Borges era l’occhio di dio, il punto che tutto vedeva e da cui tutto si poteva vedere”.